Il libro prende in esame il tema della musica nella Divina commedia, tentando di mostrare come sia possibile riconoscere una struttura musicale nel tessuto del poema. La musica vanta tradizioni antiche e complesse che è difficile, se non del tutto impossibile, schematizzare in base alle influenze culturali che hanno prodotto nella storia dell'arte. Lo studio di De Benedictis parte dall'assunto che non si può non riconoscere la musica quale componente intrinseca dell'anima umana. Del resto, tale modo di concepire la disciplina musicale va fatto risalire alle teorie di Pitagora e alla concezione platonica dell'armonia del mondo. Le dottrine pitagoriche e platoniche erano ampiamente conosciute e apprezzate da Greci e Romani; e furono poi assimilate dalla cultura medievale, la quale poté conoscerle soprattutto grazie all'opera di Severino Boezio, De institutione musica. In questa specie di manuale tecnico, la musica è suddivisa in tre categorie principali: musica instrumentalis, musica humana, musica mundana. La prima categoria si riferisce alla musica comunemente nota quale arte dei suoni; la seconda, invece, ha per oggetto l'armonia dell'anima umana, la quale, per raggiungere un alto grado di perfezione deve essere principalmente accordata con se stessa. Infine, la musica mundana è l'armonia dell'universo, che può essere pensata come tale solo mediante l'anima umana, in quanto questa contiene in essenza il suo archetipo. Il trattato di Boezio influenzò Dante considerevolmente. Echi di questa influenza sono riscontrabili in quasi in tutte le opere dantesche. Un'opera sui generis è la Commedia per la sua prevalente musicalità. La musica della Commedia è elemento intrinseco alla lingua del poema dantesco, la cui struttura ricalca la partizione boeziana in tre categorie musicali. La prima cantica, l'Inferno, è, per così dire, una non-musica, in quanto deve esprimere il regno del caos, della dannazione, dell'assenza della luce divina e dell'ordine. Che vi sia un riscontro musicale di questo tipo nell'Inferno è un dato che dà ragione alla musica di esistere, tanto quanto il peccato costituisce il presupposto della salvazione umana. Nell'Inferno le leggi delle tre categorie musicali sono sovvertite da suoni aspri, disperati, bestiali e osceni. In Purgatorio la musica è diversa da quella dell'Inferno. Per mezzo della musica instrumentalis le anime del Purgatorio a poco a poco tornano al loro stato primigenio: si accordano, come uno strumento musicale, al suono della musica universale, dando la possibilità alla musica humana di tornare a regnare incontrastata. Qui i suoni piacevoli e gli inni fanno da sfondo a tutta la cantica, allo scopo di guidare le anime sulla via dell'eterna salvezza. La sommità del Purgatorio indica il completo raggiungimento della emendatio animae. Le anime finalmente trovano un accordo totale con se stesse, e accolgono il governo della musica mundana. Nel Paradiso la musica è del tutto ineffabile perché riflette l'armonia e l'ordine del cosmo: la 'caeli machina'. Per significare il paradosso di esprimere a parole la musica paradisiaca, Dante da una parte parla della musica cosmica direttamente e semplicemente, dall'altra dice che tale musica trascende l'intelletto umano e quindi non è conoscibile. Perciò egli sente il bisogno di dire al lettore che tutto quello che esprime discorsivamente è limitato e è mera approssimazione di quel che 'significar per verba non si poria'. Nonostante l'ineffabilità del soggetto, Dante concede ampio spazio alla sua penna, sapendo che il suo lettore non è 'lo 'mperador che sempre regna' ma un semplice mortale. Nonostante ciò, a conclusione di cantica, la lingua lo abbandona del tutto e l'unico modo per esprimere questa inesprimibile forma di musica è il silenzio. Infatti la struttura musicale della Commedia si conclude con un silenzio senza uguali:
A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e l'velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
L'amor che move il sole e l'altre stelle.
(Par. 33.142-35)